Tirrenia va a Mediterranea

29 07 2010

In riferimento a quanto scritto non molto tempo fa, volevo solo riprendere la vicenda. Mediterranea holding si è di fatto aggiudicata Tirrenia. La partecipazione della regione Sicilia è al 37%. Repubblica dice che la firma del contratto potrebbe arrivare già ai primi di agosto.

La mole di debiti è confermata, i finanziamenti pubblici anche. Il Presidente della Regione Lombardo tiene a precisare che non si tratta di una regionalizzazione, salvo poi pretendere di incidere decisamente sulla strategia aziendale. Si attendono ancora i privati veri, ai quali la Sicilia potrebbe nel tempo cedere quote. Staremo a vedere.





Il canto della Siremar, colabrodo del mare nostrum

15 07 2010

Tirrenia, miliardi di denari pubbici bruciati

La notizia di oggi dell’arrivo di Giancarlo d’Andrea come amministratore unico di Tirrenia permette di ripercorrere rapidamente la storia di questa impresa italiana, che condivide con molte altre realtà industriali pubbliche un destino nefasto.

La società, è il caso di dirlo, fa acqua da tutte le parti. Partiamo con la navigazione in questo mare di m…spreco.

Tirrenia è compagnia pubblica. Al suo interno ci sono altre compagnie controllate, quali Siremar, Caremar, Saremar, Toremar (l’iniziale sta per la Regione di competenza: Sicilia, Campania, Sardegna, Toscana). Riavvolgendo il suo film, si assiste a decenni di soldi malgestiti e malspesi, tanto che si può parlare di una macchina spreca soldi, di un Alitalia dei mari. I problemi sono su più fronti. Il piano industriale del management 2009-2014 riporta come il costo medio della forza lavoro sia superiore del 25% rispetto a quella dei privati, cifra che saliva a quasi il 50% per le linee locali. Ovviamente non è in discussione l’auspicio di licenziamenti in tronco (visto che già la compagnia ha ridotto significativamente l’organico in 20 anni e un patto con il Governo impone il mantenimento del livello occupazionale, giustamente), ma di recuperare efficienza. Uno si domanderà: non riescono a gestire le risorse umane. Almeno con le macchine saranno capaci? Non proprio. Il parco natanti di Tirrenia si compone di 44 mezzi, alcuni dei quali con oltre 25 anni di servizio. Un esempio su tutti: nei primi anni ’90 Tirrenia ha acquistato dei super traghetti con trasporto auto, ma si è resa conto che non riuscivano a salpare con il mare mosso. Risultato? Prepensionati. O che dire di altre quattro supernavi da quasi 55 milioni di euro l’una ordinate nel ’98 e licenziate in poco tempo perchè, una volta messe in mare, si è scoperto che consumavano 290 kg di gasolio al minuto contro i 41 degli altri mezzi?

Per ovviare a questa gestione scellerata, quale metodo migliore se non il ricorso alle casse dello stato? I cittadini pagano 22 euro per ogni biglietto staccato da Tirrenia. Le cose vanno peggio se si considera la Siremar, la vera zavorra della baracca (le altre linee regionali sono passate di mano prima del tentativo di privatizzazione di tutta la Tirrenia, e sono ora proprietà delle amministrazioni di Campania, Sardegna e Toscana). Dalla vendita di biglietti Siremar incassa circa 20 milioni. Per arrivare ai 100 milioni di fatturato annuo, serve la mano – anzi il portafoglio pubblico. Senza di esso sarebbe già fallita da tempo, non riuscirebbe neppure a pagare gli stipendi ai 500 dipendenti. Senza l’aiuto statale, in due anni ci sarebbero circa 150 milioni di buco in bilancio. Tirrenia a fine 2008 consolidava debiti per oltre 900 milioni. Solo marginalmente gli ultimi accordi sindacali sono riusciti a diminiuire le spese per il personale. Anche perchè, come sottolinea la Corte dei Conti, sono aumentate le consulenze per il tentativo di privatizzazione della società.

E qui parte l’ultimo, forse, step. In realtà è un discorso che va avanti da tanto tempo, soprattutto su spinta dell’Ue. Ma a chi interesserebbe una società del genere? E perchè? La prima domanda ha risposta paradossale: proprio la regione Sicilia, che a differenza delle altre amministrazioni locali non aveva voluto acquisire il comparto regionale di Tirrenia, la Siremar, ora pare interessata a mangiarsi tutta la torta, come socio di maggioranza relativa di una cordata di fatto pubblica (la Mediterranea Holding di Navigazione). Gli altri armatori e i vari fondi si sono infatti defilati, anche se inizialmente sembravano interessati. Il perchè dell’interesse risiede proprio nella pioggia di finanziamenti pubblici e di convenzioni, garantite fino al 2022 (72 milioni l’anno per Tirrenia, 55 per Siremar). I privati si sono ritirati proprio perchè da sempre l’Ue insiste nel negare gli aiuti pubblici, che quindi potrebbero essere ridiscussi. Ma per Mediterranea Holding questa montagna di denaro pare proprio un’attrazione fatale. Scrive Fabio Pavesi stamane sul Sole: «Fa niente se la società (Mediterranea Holding) ha un capitale di 120 mila euro e ha appena laciato un aumento per 10 milioni, ma si dovrà sobbarcare un debito per 520 milioni. Può stare in piedi una società con questo squilibrio patrimoniale? Nel mondo normale no. Così come è assai curioso che la società capofila dell’azionista Regione Sicilia, sia il vivaio Paulsen, segnalato dal Cerved (banca dati di informazioni societarie) con un grado elevato della rilevanza dei fenomeni di insolvibilità. Per l’alba di una svolta nel disastro Tirrenia, le premesse non sembrano incoraggianti». Se la privatizzazione andrà in porto, il colabrodo Tirrenia avrà finito la sua traversata. Ma i problemi difficilmente si risolveranno. Soprattutto se la rotta avrà portato il colabrodo dai mari dello Stato a quelli delle Regioni, con pochi cambiamenti sostanziali.