Il pasticciaccio «brutto» italiota

24 09 2010

Ciao a tutti…dopo lunga assenza per varie ed eventuali ragioni, il ritorno sul blog!..lo aspettavate, vero?!

Stamattina sono rimasto un po’ sorpreso dalle parole del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Ha lanciato alcune dichiarazioni significative sullo stato dello Stato. «Quando si dice che siamo andati meglio di altri Paesi non è vero, siamo stati fortemente colpiti dalla crisi», ha detto la Marcegaglia intervenendo alla seconda Assise di Confindustria Toscana a Viareggio. «Siano entrati nella crisi già in crisi e la percezione che abbiamo è che stiamo uscendo dalla crisi ancora con una capacità di crescita inferiore rispetto alla media europea», ha aggiunto. Secondo la leader degli industriali l’Italia non rientrerà probabilmente «in una seconda recessione» ma, ha ammonito, «l’economia resta in un quadro di incertezza». Confindustria ha da poco ridotto a +1,3% da +1,6% la stima di crescita per il 2011. Anche il Tesoro, secondo una fonte governativa, si appresta a rivedere il quadro macroeconomico riducendo l’attuale stima di +1,5%. La Marcegaglia chiede a politica e governo di concentrarsi su crescita e occupazione e sollecita «risposte serie e immediate». «Se non riusciamo a raggiungere il 2% di crescita non riusciremo a riassorbire la disoccupazione, tenere in piedi il tessuto produttivo, e aumentare il benessere di tutti», ha continuato. E qui mi fermo nel citare la presidenta, visto che poi ha pensato bene di chiudere il suo intervento confondendo la tutela che i sindacati cercano per i lavoratori (con i milioni di limiti dei sindacati), con una generalizzata tutela «di chi non lavora, dei falsi invalidi, dei falsi malati» (ecco, alla fine l’ho citata, proprio non ce la faccio a censurare il censurabile). Ma tornando al punto di cui sopra. Quello che mi sembra più significativo è la schiettezza  dell’affermazione: «non è vero che stiamo bene», così si potrebbe tradurre se ce ne fosse bisogno. Ecco, di questo non in molti se ne sono accorti. Soprattutto chi dovrebbe farlo. Per testimoniarlo ho fatto un giochino. Sappiamo tutti da che estate arriviamo, con le crisi di matrimonio in seno alla maggioranza e i litigi da fidanzatini (con annesse ripicche su case monegasche eccetera). Uno pensa: tornati alla normalità settembrina, ci sarà modo di tornare a parlare di cose serie. Ecco. Prendendo le prime pagine del Corsera uscite in questo mese, noto giornale paludato, abbiamo lo specchio preciso del fango in cui siamo infilati: ben 11 aperture sono riconducibili allo scazzo Fini-Berlusconi, rigirato in ogni salsa (dal dossieraggio alle pretese pseudo-politiche). Due se le becca la vicenda Sasrkozy-cacciata dei rom. Due il defunto Profumo (si tocchi pure, ma ormai con lui usano solo linguaggio da trapassati). Un paio a Obama, una al Papa che fa sempre bene (anche se nello specifico lo volevano eliminare, anzi no, forse sì, boh chi lo sa…), una alla Libia che ci spara sulle motonavi ma poi sono nostri amici storici, una alla Marea Nera, una a Napolitano (poverino ogni tanto diamo credito al vecchietto buono), una alle banche, una agli scandali perugini. Insomma, tolte quelle «contingentate», nessuno è rinsavito rispetto all’estate. Buon autunno, allora.





FAO e Obama, quante delusioni

17 11 2009

Mi sono imbestialito con i grandi eventi che riempiono le prime pagine dei giornali di oggi, e ancor più con i loro protagonisti.

Punto primo: il vertice FAO a Roma. Titola il Corriere: «Fao, promesse e niente fondi». Niente di più vero. La FAO è un organismo imbarazzante, se correlato allo scopo per cui è stato creato. Le sfilate di auto di lusso, le cene di gala, le passerelle romane, le 500 hostess selezionate con cura da Gheddafi per i suoi party nella Capitale. Tutti elementi che stridono con l’amara realtà dei dati. Oggi si è appreso che al giorno muoiono 17mila bambini per denutrizione. Uno ogni cinque secondi. La rabbia esplode, la stampa giustamente critica la mancanza di risorse. Sulla Stampa trova voce la rabbia del presidente dello Zimbabwe Mugabe, l’appello del Papa, l’analisi dell’economista Dambisa Moyo. Ci dicono che all’Africa e al sud del mondo in genere non serve un aiuto caritatevole, ma progetti duraturi. Wow! Una novità. Saranno almeno 15 anni che ciclicamente si sentono mazzette di opinioni critiche di questo tipo. Ma dove vanno poi a finire? Come si spiega il silenzio dei grandi giornali, che criticano la FAO per la sua pochezza, ma attendono le 500 hostess di Gheddafi per mettere in prima pagina questi temi? La critica è legittima, l’autocritica purtroppo esercizio rarissimo.

Punto secondo: mi dispiace mister Obama, mi hai un po’ deluso. Capisco la tua posizione, capisco l’esigenza di realpolitik che accompagna il tuo viaggio asiatico. Capisco che con la Cina non si scherza, quella stessa Cina che ha in mano 2.000 miliardi di dollari provenienti dalle riserve ufficiali in Treasure Bonds, senza considerare i portafogli degli istituti di credito pubblici e dei fondi sovrani, che fanno sempre capo alla Repubblica Popolare. Capisco la necessità di dialogo e tutte le aperture. Capisco la mossa mediatica di parlare agli studenti, sapendo che il tuo uditorio sta però in Occidente, visto che la televisione cinese ha oscurato il botta e risposta all’università di Shangai. Ma almeno sul clima no. Nella conferenza stampa di oggi, congiunta con il presidente Hu Jintao, il presidente Usa afferma la volontà di un piano serio e globale da approntare a Copenhagen fra tre settimane circa. Un qualcosa che esuli dalla mera intenzione politica, ma abbia un «effetto immediato». Non più di 36 ore fa invece si era parlato della necessità, espressa anche al povero Rasmussen giunto in fretta e furia per avere una piccola voce nel G2 improvvisato a colazione, di una doppia fase per procedere sul clima. Una prima politica, a Copenhagen appunto, alla quale far seguire, con la massima calma e cautela, l’attuazione delle restrizioni sulle emissioni. Caro presidente, Copenhagen sarà un momento cruciale. La necessità di tenere un pugno duro sul tema supera ogni priorità di realpolitik, perché riguarda la real life di tutto il pianeta. Non ci deluda.