Durante una delle più gravi crisi che la politica italiana ha attraversato, i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro, i più importanti rappresentanti politici si consumarono le suole fra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, le sedi di Pci e Dc. I due comitati straordinari di crisi creati da Cossiga e il terzo comitato di esperti si riunirono nelle loro sedi per intere nottate.
Questo incipit, che non vuole essere assolutamente apologetico di quella politica e di quei rappresentanti, vorrebbe solamente aiutarmi a riflettere su un’altra cosa. Come ho già avuto modo di dire in qualche post precedente, quello che Silvio Berlusconi ha attivato nella dimensione pubblica italiana è un processo radicale. A suggerirmelo anche oggi è un articolo del Corsera, in cui si parla della richiesta del Copasir, il Comitato parlamentare sui servizi segreti, che ha invitato Berlusconi a riferire sul caso Ruby e sulle possibili falle nella sicurezza del presidente del Consiglio, date le sue frequentazioni. Nel testo di Fiorenza Sarzanini si legge che D’Alema, a capo del Copasir, ha invitato Berlusconi a riferire sul dispositivo di sicurezza personale del premier e sugli accessi nelle sue residenze presidenziali, tenendo conto che quelle di Palazzo Grazioli a Roma e Villa Certosa in Sardegna sono sedi alternative di governo in caso di emergenza. Proprio questo è quello che ha fatto Berlusconi. Ha trasferito, anche simbolicamente, il potere decisionale all’interno delle sue mura private (entrambe le residenze sono mantenute a sue spese e non hanno alcun legame con le istituzioni che rappresenta). Non c’era forse bisogno della conferma del Copasir, ma è un tessera nel torbido mosaico della politica italiana.